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Microchip e controllo della popolazione: considerazioni tecniche (e sociali)
Sono molte le teorie che parlano di non meglio specificati “microchip” per il controllo della popolazione, alle quali si aggiunge la sempre verde, e in realtà mai analizzata degnamente dalle fonti di debunking convenzionali, storia del “Bluetooth nel vaccino, pardon, siero Covid”.
Il punto di vista del tecnico
Da un punto di vista tecnico tali teorie sono, ad oggi, molto campate per aria.
Tecnologicamente, infatti, non esistono gli elementi che rendono tale controllo della popolazione tramite microchip fattibile.
Esistono, in sostanza, due tecnologie per microchip del genere:
- Quella passiva, dove il chip non è alimentato e, alla bisogna, riceve (con una forma molto semplice di ricarica wireless, volgarmente induzione) una piccola corrente elettrica sufficiente a rispondere con una piccola informazione
- Quella attiva, dove il chip ha una batteria propria ed emette un segnale, solitamente chiamato beacon, costantemente o in modo variabile in base alla lettura di qualche strumento
Tecnologie passive
Esempi della prima tecnologia sono i microchip dei cani, le tessere dell’autobus (e in alcuni Paesi anche i biglietti), le carte di credito contactless e gli antifurto utilizzati in molti negozi.
Alcune persone, erroneamente, ritengono che tali microchip abbiano chissà quali abilità, mi è capitato più di una volta di sentire domande del tipo “ma come mai non si può usare il microchip del cane per trovarlo se si è smartito?”
Ma, come già detto, tali chip contengono una quantità infinitesima di informazione, solitamente un ID, non hanno dunque nessuna componente attiva che permette di comunicare a qualche entità centrale in modo costante.
Per di più, hanno anche un raggio molto limitato, basta pensare a quanto vicini si debba essere ad un tornello per la lettura dell’abbonamento o ad un PoS per pagare contactless. Alcune antenne professionali dichiarano raggi sino a 80 metri, ma solo a determinate condizioni, che di sicuro non includono il collocamento sottopelle di un chip quasi microscopico, magari coperto da un bel cappottone con bottoni metallici.
Ma, chiaramente, in determinate condizioni sarebbe possibile una lettura di massa: basta mettere un singolo punto di ingresso e, con un’antenna ragionevolmente potente, si potranno leggere la gran parte dei chip.
E con questo? Ciò che si ha è banalmente un numero, puoi tracciare gli spostamenti di qualcuno al massimo. Ho sentito teorie del tipo microchip che rileva questa o quella condizione e può addirittura uccidere il portatore se prova a rimuoverlo, una roba che, per una componente statica, non sta né in cielo né in terra. Così come è impossibile, almeno al momento e anche nel ragionevole futuro, che un singolo microchip sia in grado di localizzarsi con il GPS e inviare costantemente questa informazione a qualche entità centrale.
Tecnologie attive
Ma le tecnologie attive? Il principale ostacolo, in questo caso, è che l’emissione costante del beacon richiede energia elettrica. Esistono moduli Bluetooth Low Energy che potrebbero essere potenzialmente impiantati sottopelle, in quanto a grandezza, ma per funzionare hanno bisogno di una batteria, che può esser parecchio ingombrante.
Esempio molto semplice: AirTag, per funzionare richiede una batteria a bottone. L’energia per urlare costantemente “io sono qui e mi chiamo così” non si trova nell’etere, diciamo.
Possono esistere, ed esistono, sistemi medicali basati su principi del genere, ma non parliamo di cose invisibili, che possono essere iniettate segretamente magari con la scusa del vaccino. Pensate, come referenza, ai sistemi di automisurazione senza puntura della glicemia per diabetici.
In sostanza, se esiste un certo potenziale per l’uso di microchip passivi nel tracciamento di massa, per quanto c'è decisamente di peggio già oggi, come vedremo, nel caso dei sistemi attivi il semplice fatto che necessitino di energia ne rende praticamente impossibile un uso di massa, specie se inconsapevole.
Anche le batterie al plutonio utilizzate anni addietro per i pacemaker sarebbero troppo grosse per un impianto invisibile.
Il tracciamento che già c'è
In ogni caso, siamo davvero sicuri che un microchip sottopelle, con tutti questi limiti, sia un buon modo di tracciare la popolazione?
Infatti, già oggi, diamo, a vari soggetti, moltissimi nostri dati. Parliamo di cose come la cronologia dei nostri spostamenti, la nostra cronologia delle ricerche, le celle telefoniche a cui siamo agganciati, i nostri acquisti, i nostri pensieri pubblici…
Se un attore malevolo e potente volesse conoscere gli spostamenti della cittadinanza, pensate che farebbe prima a impiantare di sfroso milioni di chip RFID sbattendosi poi per nascondere antenne ovunque o, banalmente, ad ottenere i dati delle celle telefoniche, quelli degli spostamenti raccolti da Google e simili e metterli insieme?
Non bisogna chiaramente scadere nella retorica “hanno Facebook installato e poi non mettono Immuni per la privacy”: una persona rinuncia a un po’ di privacy in cambio di qualcosa da un’azienda, mentre spesso cedere privacy allo Stato o a suoi organi vuol dire cedere privacy e basta o, ancora peggio, cederla per dare più potere a un politico. Indubbiamente, anche su Immuni c'è stata molta disinformazione che ne ha sfavorito l’adozione, e c’entra anche parzialmente con la nostra analisi, dato che utilizzava BLE per funzionare, più un database che segnalava i beacon dei positivi allertando chi ha avuto contatti.
Ma, forse, prima di preoccuparsi di un qualcosa che non esiste, è tecnicamente improbabile e funzionerebbe peggio di ciò che già c'è, sarebbe bene preoccuparsi dei rischi per la privacy che viviamo già oggi…
La triste realtà: non serve il microchip per controllare la popolazione
In ogni caso, dal secolo scorso, abbiamo visto varie dittature darsi al controllo della popolazione, riuscendoci.
Senza contare il controllo mentale della propaganda, parliamo solamente del controllo fisico e ideologico: l’Unione Sovietica e la Corea del Nord non hanno mai avuto bisogno di chissà quale tecnologia per evitare che la gente scappasse dal Paese o si allontanasse troppo dalla residenza decisa dal Partito: basta(va) la paura, un po’ di classiche carte bollate e tanti uomini col Kalashnikov per fare controlli.
Anche dal punto di vista ideologico, a cosa serve l’ipotetico microchip che se sente che parli male del Megaleader ti stordisce e chiama la polizia quando, come ben saprà chiunque abbia vissuto sotto il fascismo, basta la paura che un vicino ti senta, con conseguente visita di cortesia delle camicie nere, per tacere?
Certo, alle volte la tecnologia aiuta a controllare la popolazione: chiedete alla Cina. Ma non c'è bisogno di impiantare nulla, basta affidarsi alla biometria e identificare le persone dal viso (cosa che infatti l’UE vuole fortemente regolamentare) sputtanandole se attraversano col rosso o dedicando loro una visita di cortesia delle camicie rosse se vengono visti troppo vicini ad una manifestazione per l’indipendenza di Hong Kong.
O, per fare esempi di come anche Stati democratici (compito di scienze politiche: scoprire la differenza tra democrazia e liberalismo e le interazioni tra le due idee) possano controllare la propria popolazione: non mi pare che l’Italia abbia vietato alla gente di fare sport per mesi, credendo per qualche strana stregoneria avrebbe limitato la diffusione del Covid, con chissà quale tecnologia: hanno usato carte bollate e tanti agenti per le strade. C'è anche chi ha fatto di peggio, tipo la Grecia, che chiedeva di comunicare via SMS al governo quando si usciva.
Tutto ampiamente accettato dalla popolazione, facile da implementare - ben più di qualsiasi microchip - e da controllare con adeguato numero di uomini armati.
Quello che voglio dirvi, in sostanza, non è che non c'è alcun rischio che il governo voglia controllarvi. È anzi una possibilità, più o meno concreta a seconda della cultura politica di un Paese. Io sono un umile servitore nella vigna dei semiconduttori, quindi non sta a me dirvi se è un bene o un male, ma sta a me spiegarvi che già oggi i governi, se hanno cattive intenzioni, hanno ottimi strumenti per farlo e, paradossalmente, quello che sembra il più efficiente è, in realtà, uno dei meno funzionali e inutilmente costoso.
Non è tutto oro quel che luccica, però!
Ma quindi, allora, fanno bene quelli che si impiantano vari microchip così da non dover più girare col portafogli e aprire la porta al lavoro con un semplice cenno, dopo essere arrivati in metropolitana dopo aver scannerizzato il gomito e aver pagato la colazione dando una testata al PoS?
Beh, non corriamo così tanto. Un microchip sottopelle, come metodo di identificazione e autenticazione, ha dei difetti.
Prima di tutto, è oneroso da impiantare e, soprattutto, da rimuovere. Pensate a cose come gli abbonamenti dell’autobus, che vanno rinnovati ogni tot anni, vorrebbe dire impiantarsi ogni tot anni un nuovo microchip. Non è strettamente necessario rimuovere quelli vecchi, ma può essere desiderabile, anche solo per ragioni di spazio.
Inoltre, se in qualche modo viene clonato (e nel mondo degli RFID “plain” non è così impossibile), è ben più difficile disfarsene per ovvie ragioni, così com'è più difficile da proteggere: una tessera potete metterla in un portatessere che fa anche da schermo, è difficile che possiate girare sempre coi guanti-gabbia di Faraday. Ciò, però, è comunque compensato dalla quasi impossibilità di perdere il token. Inoltre, nel caso di clonazione, ci sarebbe sicuramente il fastidio di dover impiantare un nuovo chip, ma si potrebbe procedere alla revoca del precedente e all’inserimento del nuovo senza particolari differenze rispetto a un classico token.
In sostanza, in alcuni casi può aver senso impiantarsi un microchip, ma oserei dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, è roba da nerd che vogliono flexare un po’ certe comodità… ;)